a cura di Donato Cioli, Istituto di Biologia Cellulare, CNR
Nel nostro ‘mondo sviluppato’, dominato dalla preoccupazione per malattie cardiovascolari e tumori, ci dimentichiamo spesso che le malattie infettive sono ancora il maggiore problema sanitario per una gran parte dell’umanità.
Ancora più lontane dalla nostra esperienza sono quelle malattie infettive che sono causate da parassiti; la più temibile di queste, la malaria, fa ogni anno oltre un milione di morti, mentre al secondo posto come importanza in questa triste graduatoria si trova la schistosomiasi (o bilharziosi), un’infezione che interessa oggi circa 200 milioni di persone nel mondo e che può presentare quadri clinici di estrema gravità.
Gli schistosomi sono dei vermi piatti (platelminti) che allo stadio adulto sono lunghi circa un centimetro, hanno un forte dimorfismo sessuale e abitano all’interno del sistema venoso dell’ospite definitivo che è l’uomo. La femmina vive all’interno di una fenditura (canale ginecoforo) che attraversa longitudinalmente il corpo del maschio e da questo accoppiamento permanente viene prodotto un numero impressionante di uova: circa un uovo ogni cinque minuti (giorno e notte) per ogni coppia –e in un singolo individuo ospite possono esistere centinaia di coppie (Fig. 1). Le uova prodotte riescono ad uscire all’esterno con le feci o con le urine, si schiudono se trovano un qualunque ambiente con acqua dolce (fiume, lago, stagno) e danno origine a una larva che nuota alla ricerca di un ospite intermedio, rappresentato in questo caso da alcune specie di molluschi acquatici. La larva penetra nel mollusco, si moltiplica e, dopo circa un mese, dal mollusco escono migliaia di nuove larve nuotanti (cercarie) che questa volta hanno la capacità di infettare l’ospite definitivo, cioè l’uomo. L’aspetto più insidioso di tale infezione è che le cercarie sono capaci di penetrare nel giro di circa tre minuti attraverso la cute sana del malcapitato che si trova a camminare, nuotare o lavarsi in tali acque. A parte qualche passeggero prurito, la persona infettata non si accorge di niente fino a un paio di mesi dopo, quando cominciano a manifestarsi i sintomi della malattia: malessere generale, disturbi digestivi, sangue nelle feci o nelle urine (a seconda della specie di schistosoma), fino a evolvere col tempo nel quadro conclamato della fase cronica che può consistere in insufficienza renale oppure epatica con versamento di liquido nella cavità peritoneale (ascite, Fig. 2).
La sintomatologia è dovuta all’enorme numero di uova di schistosoma che non riescono ad uscire all’esterno dell’organismo e si accumulano nel fegato o nel sistema urinario. La schistosomiasi, se non curata, può protrarsi per molti anni di grave invalidità, causando una mortalità che è stata recentemente stimata a circa 280.000 decessi all’anno. Una delle caratteristiche dello schistosoma consiste nella sua lunghissima vita media; i parassiti adulti non si moltiplicano all’interno dell’ospite definitivo (occorre il passaggio attraverso il mollusco che è l’ospite intermedio), ma il singolo parassita può sopravvivere per decenni: sopravvivenze di 30-40 anni sono state ripetutamente documentate. Questa lunga sopravvivenza nell’uomo di un tessuto estraneo e filogeneticamente lontanissimo può ben definirsi il più straordinario successo di un trapianto eterologo, e costituisce uno dei problemi biologici più affascinanti nel campo dell’immunologia.
La schistosomiasi è una malattia dei paesi tropicali e sub-tropicali: Africa, vicino ed estremo Oriente e Sudamerica (dove l’infezione fu importata dall’Africa con la tratta degli schiavi). È una malattia antichissima (uova di schistosoma sono state trovate in mummie egiziane) ed è purtroppo una malattia attuale perchè molti moderni piani di sviluppo agricolo si basano sull’irrigazione, ciò che favorisce il contatto dell’uomo con le acque e il diffondersi dell’infezione.
Non esiste un vaccino contro la schistosomiasi e le prospettive di averne uno appaiono ancora assai lontane. Esiste un unico farmaco che è in grado di eliminare l’infezione, ma non è in grado di impedire la re-infezione del paziente curato. Questo richiede costose e ripetute campagne di chemioterapia di massa ed espone alla minaccia che, prima o poi, si sviluppino ceppi di parassiti resistenti all’unico farmaco disponibile. Sarebbe naturalmente necessario uno sforzo di ricerca per sviluppare nuovi farmaci, ma i paesi che hanno l’infezione sono per lo più privi di risorse, ciò che giustifica, da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la classificazione della schistosomiasi tra le ‘malattie neglette’.